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ENRICO COLOMBOTTO ROSSO

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PIETRO NEGRI EDITORE - Distribuzione nelle gallerie d’arte e nei Musei e su abbonamento -

EIKON Bimestrale di informazione e cultura dell’immagine

Anno III Maggio-Giugno 2011



EDITORIALE sottoscrizione abbonamento annuale su www. federcritici.org.

N. 14 Marzo - Aprile 2011 Bimestrale di informzione e cultura dell’immagine Direttore responsabile Maria Elena Bonacini

ottobre2011

Splendore e Decadenza

premio

Scamozzi Le sette Vie di Tebe

Redazione Maria Rita Montagnani Annette Ronchin Mara Campaner Zanandrea Anna Laura Leone Lorena Zanusso Renato Freddolini Maria Teresa Giffone

Pietro Negri Editore Corso Palladio, 179 36100 Vicenza Stampa Grafiche Corrà Arcole (VR) Contatti e informazioni: info@federcritici.org 0444.327976 L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali pendenze relative a testi, illustrazioni e fotografie con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare.

Eikon Magazine E’ vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini presenti su tutta la rivista Supplemento della testata Museohermetico Reg. Trib. VI. 1115 del 12.09.2005 roc n. 13974

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IL VENETO RINASCIMENTALE che abbiamo scordato

L’intervista a

Giovanni Villa, curatore di mostre prestigiose come quelle del Caravaggio del 2010 e di Lorenzo Lotto (aperta fino al 12 Giugno 2011) allestite alle Scuderie del Quirinale di Roma, lascia ben sperare sulla possibilità di poter vedere, forse già dal prossimo anno, una grande mostra su Bartolomeo Montagna, artista che operò tra Vicenza e Venezia tra i 1475 e i 1523. G. Villa: “Per quanto riguarda l’area veneta, negli ultimi decenni è stata sottolineata la grandezza di Giorgione e Tiziano, Tintoretto e Veronese, che con Canaletto e Tiepolo costituiscono le icone della pittura di quest’area. Ma esiste una serie di artisti, considerati fino agli inizi del Novecento i massimi esponenti della pittura veneziana, come lo stesso Giovanni Bellini, poi dimenticati. E soprattutto si è persa così la percezione della matrice formativa del Cinquecento, Seicento e Settecento veneto. L’intento è di sottolineare attraverso questi protagonisti quelli che sono stati i punti fondamentali di tale storia pittorica”. La matrice formativa non è unicamente rintracciabile negli eventi storici della Serenissima Repubblica di Venezia, così come la “mentalità” commerciale e industriosa, laica e religiosa, moralistica e libertina, ‘generosa ed egoista’ che contraddistingue la “gente” dell’entroterra veneziano, non è certo figlia del “bigottismo” democristiano o del “materialismo” del Nordest leghista. Le opere degli artisti del Rinascimento Veneto ci offrono le chiavi per comprendere il forte influsso che ebbe la riforma protestante, soprattutto calvinista, nell’ispirare nell’individuo un approccio diretto alla conoscenza dei testi filosofici e i libri sacri. Non bisogna dimenticare che Venezia era diventata la capitale europea del libro e le 150 stamperie attive alla fine del Cinquecento pubblicavano 4000 titoli all’anno che andavano ad arricchire le biblioteche di un nuovo ceto di studiosi, architetti, artisti e consulenti di nobili e aristocratici, desiderosi di emanciparsi da certi modelli culturali retrogradi ed antiquati. Secondo Frances Yates, il Rinascimento italiano deve la propria affermazione alla cultura della stampa che diffuse non solo i testi dei filosofi della classicità greca e latina in grado di ispirare in quegli anni l’idealismo neoplatonico di Giorgione e il naturalismo aristotelico di Tiziano, ma anche trattati che divulgavano la nascita di una forma di spiritualità individualizzata in grado di conciliare cristianesimo, filosofia neoplatonica ed ermetismo mitologico, come ampiamente documentato dalle “allegorie pedagogiche” pensate per decorare palazzi pubblici, ville padronali, edifici di culto, sedi del potere civile e teatri.

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INTERVISTA

di Maria Rita Montagnani

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ENRICO COLOMBOTTO ROSSO MRM- Maestro, nella sua pittura in cui echeggiano i fasti simbolisti, si agita un’inquietudine di vivere che sembra un retaggio più dell’infanzia che non della maturità, cosa può dirci a riguardo? CR-Credo, anzi sono sicuro che il retaggio sia dell’infanzia. Lei ha ragione, anche se la mia infanzia non è stata così diversa da quella che hanno vissuto i miei fratelli ma io ho sempre cercato un mondo a parte che non era altro che il sogno di ciò che ho successivamente creato. Non ho avuto grandi incubi ma alcuni possono raccontare che la madre di mia madre è morta in manicomio, io l’ho saputo molto tempo dopo. Ho sempre pensato che solo con l’isolamento sarei arrivato alle mie verità. Non potevo concedermi come i miei fratelli, io non dividevo nulla con loro, leggevo un libro ogni due giorni. L’isolamento è stato la mia formazione ma la formazione inizia da bambini, non si arriva a vent’anni e si diventa artisti, si parte da piccoli. Io ero sempre solo con la mia carta… si capiva che c’era un destino. MRM-Tutte le cose preziose stanno nascoste, è d’accordo? CR-Dividiamo tra cose esteriori e cose interiori, a me interessano quelle interiori. La parte interiore è la più difficile. Io non comunicavo né con mio padre né con i miei fratelli. Sono d’accordo, è complicato quando sei un bambino e non hai ancora un linguaggio con cui esprimerti, dire le tue verità che quindi restano nascoste, sono preziose e rappresentano la parte segreta che interessa. Mio fratello alzava i pesi mentre io leggevo libri. Mio padre andava a caccia, ammazzava gli animali mentre io leggevo libri. Imbalsamava gli uccelli, le civette. Ricordo che le metteva nelle gabbie ed io sentivo che battevano con i becchi contro i vetri. Quando mio padre è morto nessuno voleva la sua collezione, ho dovuto prenderla io ma all’epoca avevo un gatto siamese, Lilly, che ha spiumato tutta la collezione di animali impagliati… il mio gatto li ha distrutti. Non ho mai potuto dimostrare l’amore per mio padre, era molto risoluto, non mi ha mai capito perché sentiva che ero un bambino diverso. MRM-La vita, la morte sono una grande distesa di niente? CR- La vita è quello che hai quando non pensi alla morte. La morte è la soluzione di tutto quello che hai fatto e lasci agli altri. Se non lasci nulla vuol dire che non hai fatto nulla. Per un artista produrre è come allargare la propria famiglia, il mondo che non c’è. Io non ho avuto un trauma nel non avere un figlio, io tramando parte di me con le mie opere non per mezzo di una persona, di un figlio. MRM-Che posto occupa nella sua vita d’artista l’ignoto? CR-Lei, signora, conoscerà senz’altro la mia età, il mio futuro non è così lungo, neppure l’ignoto. Non ho la percezione dell’ignoto perché ci sono già dentro. Non mi ha mai spaventato, io ho sempre giocato con la realtà. Quando mi alzo al mattino, rido come un pazzo perché non ho mai avuto una famiglia e lo posso fare. MRM-Secondo lei è più importante la réverie o la lucida riflessione? CR-Preferisco la réverie, mi piace questa parola francese, perché i sogni sono l’unica cosa che ti sostiene per vivere anche se sei vecchio. Il vero sogno è continuo, non parlo dei dreams della notte, di notte i sogni sono poco interessanti, di giorno invece, quando hai la concretezza della realtà che vivi, è fondamentale sognare. L’ultimo lavoro che ho fatto, ad esempio… Ho illustrato Les Fleurs du mal di Baudelaire con più di 500 tavole, spero di poter fare una mostra con queste opere in uno spazio pubblico per realizzare un catalogo, non potrei farne un libro, sarebbe economicamente troppo oneroso. E’ un testo che non ho più riletto, ho guardato solo i titoli, le immagini che lui aveva, ad esempio la donna creola di 200 Kg di cui Monet aveva fatto un ritratto. Una critica tedesca, quando ho esposto in un museo in Germania, ha detto che ero uno dei pochi artisti che lavora in stato inconscio, ipnotico, senza progettare… è stata la più bella recensione che ho ricevuto. Io ho sempre sognato la mia vita ideale senza avere accanto una moglie, la dama di compagnia. Non ho mai voluto una presenza nella mia casa di qualcuno che mi dicesse “ti voglio bene”, ho sempre sognato l’assoluto, non posso avere legami perché se qualcuno mi dice al mattino “come sei bravo” (uomo o donna


intervista che sia) mi mette in crisi, non voglio complimenti, non li ho mai avuti da bambino. Non sono un orso, come può apparire da ciò che dico, sono il contrario, sono fragile nella radiografia che posso fare di me stesso, la cosa più importante che posso dire è non analizzare mai né il proprio conscio né l’inconscio, come qualcuno ci ha insegnato. Ho letto molti trattati quando ero giovane, allora non avevo capito nulla, ho capito tutto dopo. Tra le letture fondamentali che ho fatto ci sono i Frammenti di Nietzsche, lui insegna ad avere un assoluto totale mentre nella psicoanalisi c’è molta “tendresse”, fragilità che non ti aiuta a diventare una persona sicura, non parliamo di virilità. A 15 anni il primo libro che ho letto è stato Via col vento. Amo Jung, Adler, Freud è per le bambine della prima comunione. MRM-La sua pittura nasce da un sogno o da un bisogno? CR- Il mondo mio personale è il sogno continuo. In qualsiasi momento mi metta a disegnare io continuo a sognare un’altra realtà che è quella che nessuno vede ma si percepisce nel lavoro. E’ come nutrirsi, come bere un bicchiere di vino, fare un buon pranzo. MRM-. Cosa sono il passato e il presente per lei, che cos’è il tempo? CR- Il passato? Io ho già dimenticato tutto, soprattutto le parti negative delle persone, il male che mi hanno fatto, preferisco ricordare le cose positive perché mi danno gioia. Il presente è la rinuncia alla noia che è il sintomo delle persone che invecchiano, quando la creatività è continua, si deve creare fino all’ultimo giorno della propria vita. Il tempo? Non me ne accorgo, se tu hai immaginazione rigeneri continuamente la tua parte psichica, dimentichi l’età che hai, questo non significa che io giochi ai birilli… Vuol dire che sei arrivato a un confine dell’assoluto senza dover sostenere il peso di una cultura intellettuale opprimente. MRM-Mi dica 3 parole per definire la vita. CR-J’en ai assez… Ne ho abbastanza. Lo dico al mattino quando mi alzo perché ho vissuto abbastanza. Questo è uno scongiuro, il destino non si sa cosa sia. MRM-Mi dica 3 parole per definire la morte. CR-Morire sognando dolcemente. Senza un incubo finale. Quando arriva la morte… lo vorrei solo sapere. MRM-C’è qualcosa nella sua vita che non ha ancora potuto realizzare? CR-Molte cose non sono state realizzate ma non è dipeso da me. Per quello che riguarda il mio lavoro credo di avere descritto migliaia di fogli d’inchiostro, ci sarebbero voluti 800 pittori per produrre ciò che ho prodotto io. Ho fatto un disegno lungo un Km., sono fogli da 4 mt. per 2 disegnati ad inchiostro di china, poterli esporre, questo è un sogno che vorrei vedere realizzato. Si tratta di nudi, tutto il lavoro s’intitola Ossessione. L’ho iniziato nel 1992 e finito nel giro di un anno. MRM-C’è una domanda che nessuno le ha mai fatto e a cui vorrebbe rispondere? CR-Sì. “Ma lei è ancora vergine?” Ovviamente dipende da che cosa io idealizzo con il termine assoluto di verginità ma questo non lo voglio dire, è un mio segreto. MRM-Maestro, dove sta andando l’uomo odierno? Dove sta andando l’Arte attualmente? CR-Per quanto riguarda l’Arte c’è un ritorno al figurativo, io lo sono sempre stato. Ci sono grossi talenti in Italia, Inghilterra, Germania ma sono pochi. In Piemonte, al massimo, ce ne sono tre. Non c’è preparazione accademica, culturale, non ci sono persone che come me hanno rifiutato di appartenere ad un gruppo di artisti per difendersi. Bisogna avere il coraggio di esporsi in prima persona, oggi basta un piccolo successo per sentirsi grandi artisti mentre questo lo si può dire solo alla fine della propria vita. Non so dire dove stia andando l’uomo odierno, forse le persone che hanno talento, cultura, lo possono capire. Io sono un anarchico, contrario alla cultura ufficiale, non posso essere un esempio, so solo che i grandi poeti, scrittori, artisti hanno sempre cercato l’assoluto per arrivare all’opera straordinaria… è sufficiente scrivere un libro bellissimo, ecco lì deve andare l’uomo odierno con tendenze artistiche, so parlare solo di questo.

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RECENSIONE

di Maria Rita Montagnani

ENRICO COLOMBOTTO ROSSO La spaventosa aureola dello psicopompo

Immaginare Colombotto Rosso intento al suo creare artistico, è come essere rapiti da Ade nel bel mezzo di un prato di virginale quotidianità, per ritrovarsi come Proserpina-Persefone sprofondati in una dimensione notturna ed oscura, ostile e inestricabile non perché lontanissima da noi, bensì perché è in fondo al nostro essere più inconoscibile. In quel regno popolatissimo di fantasmi e di mostri, anche lo spettro del nostro “doppio” diviene spettrale, assumendo le sembianze di ciò che maggiormente ci turba e ci sconvolge, ma che ci parla col suo linguaggio sibillino e stigio, che vuole entrare nelle nostre emozioni, provocandone altre ancor più devastanti. Colombotto Rosso sublime e beffardo psicopompo, ci conduce così attraverso i suoi labirinti tappezzati da orrorifiche amenità, esso si serve della pittura come fosse il fior fiore dei sortilegi, di quelli che riescono ad annodare la mente con l’anima in un mortale intreccio di assoluto abbandono. La sua grande maestria, al pari dei grandi maestri “neri”, consiste innanzitutto nel togliere ossigeno all’aria che respiriamo, rendendo l’atmosfera mefitica e saturnina all’interno di quel suo claustrofobico splendore, dove mondo e realtà vengono ingoiati da un unico universo di tenebre e dove la luce soffusa in una sinistra aureola, fa ancor più paura del buio. Col suo linguaggio sinuoso e sontuoso, questo artefice mesmerico, ci fa toccare tutte le anfrattuosità delle deformità mentali, dove si annidano penitenti succubi ed impenitenti carnefici, dove le forze del male e del bene non sono più in lotta, bensì in un’eterna affabulazione, e dove infine prevarrà solo la crudele e indecifrabile verità dell’inconscio. Colombotto Rosso non parla dell’uomo, e non parla nemmeno all’uomo, egli parla nell’uomo, attraverso la voce di ciò che esso non vuole ascoltare e che s’insinua nelle sue orecchie come il canto delle sirene facendolo impazzire. Perciò l’uomo teme quella voce,perciò volge altrove lo sguardo quando esso rischia di posarsi su ciò che non si può sostenere e forse nemmeno concepire. Il nano, ilmostro, lo scheletro, il deforme, sono in effetti personificazioni dell’inconscio, non persone e figure reali, bensì sono tutti simulacri plasmati nella melma dell’aldilà, dove aldilà, qui, significa “metaxy”, il regno di mezzo, il luogo abituale delle nostre paure e dei nostri tormenti, quel luogo dove itifalliche divinità stridono sulle nostre ingenue congetture, digrignando i denti quando cerchiamo di contrastarle o ancor peggio di sconfiggerle. Si tratta comunque “di rendere l’anima mostruosa, alla maniera dei comprachicos.. (A.Rimbaud), perché solo così possiamo assecondare gli dèi ed esperire l’inconscio senza esserne soltanto sparuti ed inermi visitatori. Scendere bisogna, occorre approfondire e approfondirsi,ed infine anche inabissarsi in quel mare di tenebre rilucenti dove riverbera la nostra più audace possibilità di pensiero. Questa è la grande lezione di Enrico Colombotto Rosso, il saper condurre l’osservatore verso una Nekyia, verso una discesa nel Tartaro. Ecco che allora esso con la sua arte luciferina fatta di visioni impressionanti, di soverchianti presenze sotterranee, ci guida sapientemente verso quegli dèi e le loro epifanie, per cercare di farne la loro conoscenza e tentare di favorire quell’identificazione che sta alla base di ogni processo d’individuazione e che possa esitare come l’opera alchemica verso una compiuta individualità. Come sulla porta di Jung, la scritta: “Vocatus atque non vocatus deus aderit”, pare sia incisa anche sulla porta iridescente e traslucida della dimora sulfurea di Colombotto Rosso, che in quella dimora crea con il suo eterno spirito mercuriale. Ma quel dio ci sarà soltanto attraverso sacrificio, energia e dedizione, perché solo così saremo segnati dall’incommensurabile destino dell’arte, quello che ha fatto di questo artista, un artista geniale.

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Maria Rita Montagnani


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poesie “Dammi la tua luna malata, quella che emana una corona di sale dall’eclissi del mondo. Ogni cosa guasta è vera”. Milo Rossi

“Grande ascoltatore che ascolti la mia voce dal tuo fondo disperato, non ti fa grande l’ascolto ma il riconoscere l’accento del dolore in chi non ha mai parlato. Se dev’esser buio, che buio sia, se dev’esser luce, che luce sia, se ogni cosa poi non sarà niente, non sarà stata almeno una bugia. In te mi sciolgo e mi dissolvo, e poi divento la tua follia. Dalle mie lacrime non nasceranno diamanti, dal mio sangue non nasceranno rubini, ma nuovi varchi per i miei confini.” Neri Tancredi

L’intervista al maestro è stata realizzata con la preziosa collaborazione di BARBARA COMBOTTO ROSSO

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BIOGRAFIA

Enrico Colombotto Rosso..

BIOGRAFIA A Camino Monferrato vive l’artista torinese Enrico Colombotto Rosso, nato (con il fratello gemello Edoardo) il 7 dicembre 1925 da madre toscana e padre ligure. La sua scuola è stata la vita. Fin da bambino manifesta la propensione per il disegno e studia da autodidatta le tecniche espressive. Fra i 15 e i 19 anni frequenta una piccola cerchia di poeti e letterati, scrive poesie e segue da vicino l’ambiente artistico e culturale torinese. Nel 1948 incontra Mario Tazzoli con il quale aprirà a Torino la galleria Galatea che tratterà artisti come Giacometti, Bacon e Balthus. I temi dominanti della sua pittura sono anticipati dalla “piccola storia per un bambino che aveva grandi orecchi e piccole zampe”, che scrive in questo stesso periodo e sarà edita da Giorgio Tacchini nel 1981 con il titolo di “Storie di Maghe per adulti”. A partire dagli anni Cinquanta la sua vita seducente si fa irrequieta e compie il suo primo viaggio a Parigi dove incontra Leonor Fini, Stanislao Lepri, K.A. Jelenski, Jean Genet, Dorothea Tanning, Max Ernst personaggi già padroni della scena internazionale e molto vicini a lui per la loro espressione artistica; queste amicizie dureranno tutta la vita ed ancora oggi Enrico Colombotto Rosso parla di Leonor come di un grande “ Sole- Luna” comparso nel secolo scorso, di cui tutto è indimenticabile, la voce, il suo enorme talento e la bellezza. Poi Vienna, Londra, Stoccolma, Siviglia e gli Stati Uniti costituiscono per l’artista altri importanti punti di riferimento dove ha occasione di conoscere e stringere amicizie nell’ambiente artistico con grandi personaggi quali John Huston, Eugéne Jonesco, Wharol, Becker, Fellini dai quali il giovane Enrico Colombotto Rosso assorbiva le atmosfere, il senso della letteratura e dell’arte, della drammaturgia e dell’immagine. Nel frattempo espone nelle più importanti gallerie europee con mostre personali ed è regolarmente presente con le sue opere agli appuntamenti d’arte importanti, sia in Italia che in altri Paesi europei e negli Stati Uniti. Datano al 1953 personali a Torino (Galleria Galatea), Parigi (Galérie de l’Odéon), Providence, USA (Museum of Art) e Roma (Galleria dell’Obelisco). Espone a tutte le collettive torinesi del Circolo “Piemonte artistico e culturale”; nel 1955 espone in personale alla Galleria Montenapoleone di Milano, alla Bussola di Torino, alla Galérie de Seine a Parigi, alla Sagittarius Gallery di New York e alla rassegna ‘Italian Parade’ a Sidney; nel 1957 alla Galleria comunale di Bordeaux; di nuovo all’Obelisco di Roma; nel 1958 nuova personale torinese alla Galatea; nel 1959 torna all’Obelisco di Roma, espone alla Quadriennale e a Palazzo Strozzi di Firenze. Nel 1960 espone ad Amburgo e Brema; nel 1961 a Padova e Madrid. Nel 1967-68 è invitato alla rassegna torinese ‘Pittura e scultura contemporanea’. Si cimenta altresì nel cinema e nel teatro disegnando scene e costumi, ad esempio nel 1970 per l’opera teatrale “Le jeu du massacre” di Jonesco per il Teatro Stabile di Torino, per la “Danza di morte” di Strindberg, “Salomé” di Wilde. Nella sua carriera artistica ha tenuto numerosissime mostre personali e collettive, in altrettante prestigiose sedi pubbliche e private. . Nel 2000 la Regione Piemonte organizza una sua grande mostra antologica presso la Sala Bolaffi a Torino e nel 2002 è invitato da Vittorio Sgarbi a partecipare alla mostra “Surrealismo padano. Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986”. Nel 2003 un’altra importante antologica ordinata presso il Panorama Museum a Bad Frankenhausen in Germania. Nel 2005 partecipa alla mostra “IL MALE. Esercizi di pittura crudele” curata da Vittorio Sgarbi presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi (Nichelino-Torino). Negli ultimi anni si sono attivati tre depositi museali a Conzano, a Camino, a Pontestura (sempre nella provincia di Alessandria), dove sono conservate opere di grande pregnanza storica.

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La spaventosa aureola dello psicopompo

Si ringraziano ANTONIO ATTINI e WILLY DARKO per la cortese concessione delle immagini

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INTERVISTA

di Lorena Zanusso

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GAETANO CASTELLI

scenografo

L.Z.- Sanremo. Per lei è una storia lunga. Alla conferenza stampa di apertura diceva che occuparsi della scenografia del Festival è una grossa responsabilità. Ma è una questione d’immagine o anche di crescita personale come artista? G.C-Penso che Sanremo sia l’obiettivo a cui guarda ogni scenografo televisivo, perché credo sia l’unica manifestazione televisiva durante la quale si concentrano circa un migliaio di giornalisti contemporaneamente, di inviati di televisioni italiane e straniere. Occuparsi della scenografia di Sanremo significa far parte di un evento che, come dice il direttore di rete, è il fiore all’occhiello della RAI. Questo è il diciottesimo per me, le ultime due edizioni le ho curate con mia figlia Maria Chiara. Non è stato facile per lei occuparsi di scenografia all’inizio, per essere figlia d’arte, ma quando ho notato la sua convinzione, i risultati e mi si chiedeva anche dall’esterno la sua collaborazione, ho accettato. Questo lavoro è la mia vita, pertanto non permetterei a nessuno di farmi fare brutta figura, nemmeno a mia figlia. Comunque “fare Sanremo” significa anche la possibilità di bruciarsi. Avere delle recensioni negative sulla scenografia del Festival può significare molto. Bisogna d’altronde tenere conto che ne sono stato in qualche modo l’artefice, dato che il Festival è nato come evento radiofonico. Solo più tardi è approdato all’Ariston, dove però si utilizzavano una serie di luci per costruire la scena, che conferivano degli effetti stilisticamente simili a quelli di una discoteca. Poi io ho iniziato a introdurre la scenografia da studio televisivo, tridimensionale, e da scenografo ho imposto un certo linguaggio, ho creato l’anima delle scenografie di Sanremo, inserendo degli elementi di novità tutti gli anni, come in quest’ultima edizione, che è al passo con i tempi, grazie all’utilizzo di tecnologie moderne. Viaggio molto, vado a Las Vegas, a Broadway, a Londra, a Parigi per studiare quello che succede. Per esempio a Las Vegas sono stato tre anni fa e ci torno ora, finito il Festival, per Moulin Rouge… L.Z.- Mouline Rouge, anche questa è un’altra storia importante di Gaetano Castelli…e ci sono delle novità… G.C.- Certo, ne curo le scenografie da venticinque anni. Ora con Maria Chiara sto preparando il nuovo spettacolo che debutterà il 23 dicembre 2014 e che presumibilmente resterà in scena diversi anni, come l’edizione precedente, che terminerà la propria storia dopo ben quindici anni, al ritmo di due spettacoli al giorno, regolarmente sold out. Il lavoro che ci si presenta per i prossimi tre anni è enorme, in quanto lo spettacolo prevede circa venti scenografie per quattro quadri e per un totale di millecinquecento costumi. La disponibilità delle moderne tecnologie farà sì che si possano utilizzare il pavimento e due piani in altezza per far salire e scendere di volta in volta le scene. Il risultato stilistico sarà simile a quello dei musical londinesi e sarà intriso di atmosfere tipiche di diversi luoghi del mondo, pur mantenendo il sapore degli anni di Toulouse Lautrec e del can can, ballo che ha presso il Moulin Rouge una scuola unica nel suo genere. Sarà un grosso investimento economico e per essere all’altezza della situazione non avrà appunto caratteristiche localistiche, perché di fatto è uno spettacolo mondiale. L.Z.- È uno spettacolo che mira quindi all’eccellenza, anche se tradizionalmente parigino G.C.- Sì, tutti, dall’organizzazione, ai coreografi e ai ballerini sono delle più diverse provenienze. Si avverte il sapore degli anni Venti e Trenta appunto, i quadri di Toulouse Lautrec sono appesi alle pareti… ma non c’è il “sapore della polvere”. E’ un giro del mondo, dove si respira un’atmosfera tipica, con molte contaminazioni e attualizzazioni. L.Z. - Ci dica qualcosa di Gaetano Castelli artista. G.C. - Ho sempre dipinto. A sedici anni ho esposto alla Quadriennale Giovanile di Roma. A venticinque tenevo una cattedra presso il liceo artistico e a nemmeno trent’anni quella di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ho insegnato trentacinque anni scenografia all’Accademia d’Arte di Roma come titolare di cattedra. Ad un certo punto non ho più potuto accontentare le esigenze degli studenti a causa dei tagli alla struttura didattica e, piuttosto che tradire le loro giuste aspirazioni, ho preferito andarmene. Nel frattempo il Ministero mi ha nominato per tre anni direttore per chiara fama della stessa Accademia; ho accettato e in quel periodo ho fatto del mio meglio per arginare questi problemi. Terminato il mandato mi sono dedicato alle mie mostre. Inizialmente dipingevo soltanto per me e tuttora dipingo, la sera. I soggetti provengono dal mio mondo e utilizzo una tecnica a olio seicentesca, per velature, che mi permette di conferire molta luminosità ai quadri. Un giorno Paolo Levi, qualche anno fa, mi chiese di vedere i quadri, li osservò a lungo in silenzio e poi disse che dovevo assolutamente esporli.


IL DIETRO LE SCENE. Sanremo, 14 Febbraio 2011

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Da quell’incontro nacque una serie di mostre, a Roma, in Cina, a Londra, che hanno avuto un buon riscontro di critica e di vendite. L.Z.- Si è occupato anche di diversi tipi di scenografie? G.C.-Ho lavorato per la moda, il teatro, un ricordo per tutti la collaborazione con Lina Volonghi e Vittorio Caprioli; per il musical, alla Scala di Barcellona e di Madrid; ho inaugurato con Le Notti Arabe il Teatro Lirico del Cairo, costruito su donazione giapponese, che ha delle possibilità scenografiche uniche grazie all’avanzata tecnologia di cui è stato dotato. Ho fatto degli interventi più originali come quello sulla facciata del Palazzo di Giustizia a Rossano Calabro, dove ho usato dei moduli appositamente lavorati con una tecnica di pressatura meccanica. Infine ho tenuto conferenze in diversi stati del mondo, da ultimo in Inghilterra e in Giappone. Ma la cosa più importante è che ho dato l’immagine della RAI del sabato sera. La RAI ha il vantaggio che quando lavori all’interno della struttura ti dà i mezzi per esprimerti, facendo da tramite, in tal modo, per ulteriori possibili contatti. Per tre volte, per esempio, abbiamo vinto il premio internazionale del Festival della televisione di Montreux in Svizzera per la rivista, per la miglior scenografia e regia. La rosa d’argento con Il Ribaltone delle sorelle Goggi nel 1978, la regia era di Antonello Falqui, con cui abbiamo vinto anche la rosa d’oro nel 1984 per Al Paradise. L’altra rosa d’oro è stata con Celentano, Rock Politik, nel 2000. La scenografia era lunga quasi cento metri. Poi in generale, dopo Falqui la RAI non ha più fatto programmi originali, a parte Fiorello. Ora lavora in gran parte con i format ed è quindi difficile poter partecipare al concorso, che richiede come condizione primaria programmi inediti, nazionali, sia come produzione che nella scelta dei protagonisti. L.Z.-Una serie importante di successi dunque… G.C.- Ma questo non succede solo perché, come spesso si dice, si ha l’esperienza. L’esperienza da sola non basta. La cosa veramente importante è che lo scenografo, qualsiasi cosa faccia, deve essere in grado di interpretare quello su cui sta lavorando. E per fare ciò deve conoscere tutte le tecniche artistiche. Deve saper dipingere, scolpire e architettare, altrimenti non può essere veramente in grado di seguire e dirigere il lavoro delle maestranze. E’ necessario l’aggiornamento quotidiano, l’amore e la voglia di confrontarsi. Molti degli scenografi che lavorano oggi sono stati miei alunni o assistenti. Non per questo temo la competizione. Anzi, la considero uno stimolo ed è una prospettiva che coltivo nel lavoro con mia figlia. Quello che conta è tenersi aggiornati, andare in giro per il mondo a vedere le mostre… uno scenografo non è un impiegato di banca, che termina di lavorare il venerdì e può dedicarsi al finesettimana. Uno scenografo non fa in tempo a finire una vacanza che sta pensando già al lavoro, perché la cosa più bella è vedere un progetto che nel giro di breve tempo passa dall’idea alla realizzazione. Fare lo scenografo è il sogno di ogni architetto. L.Z.-Cosa pensa del mercato dell’arte e della stampa specialistica? Penso che siano contesti vivi. Solo una cosa chiederei però ai critici. Molti, critici famosi compresi, hanno spesso utilizzato un nuovo movimento artistico anche per creare il proprio personaggio. Certo, non si può cancellare la storia, ma sarebbe necessario essere un po’ più obiettivi. L.Z.-Per esempio? G.C.- Vedo spesso delle opere d’arte contemporanea che sono in sostanza delle installazioni molto simili a scenografie. Che cos’hanno di diverso? Ma mentre una scenografia viene smontata e distrutta, accade che opere di questo tipo vivano un certo tipo di percorso, che le porta magari in luoghi culturali come la Biennale di Venezia, e in conseguenza del quale acquistano un valore di mercato molto alto e non giustificato. Spesso sono modulari e utilizzano la tecnica di pressatura sottovuoto che ho usato io molti anni fa’ per le scenografie. Lo stesso dicasi per i led, utilizzati con altrettanta abbondanza nell’arte contemporanea. Si sta abusando della tecnologia per fare arte, mentre essa va bene al massimo per le grandi dimensioni. L’aspetto maggiormente negativo sta nel fatto che spesso tali opere nascondono un vuoto culturale, una grossa mancanza di formazione. Tutti i grandi hanno studiato. Bisognerebbe sempre studiare. In seguito può darsi che emerga l’esigenza di una propria linea, di una propria direzione artistica personale. Ma ciò ha senso soltanto nel momento in cui esiste già una “struttura interna”, un contesto personale debitamente coltivato che possa sostenere tale percorso.

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ARTWORKS di Elena Mutinelli

Biografia Elena Mutinelli nasce a Milano il 4 luglio 1967. L’artista milanese si diploma . all’Accademia di Belle Arti di Brera nell’ 1989/90 con i docenti A. Cavaliere, Cascella, L. Silvestri, nel 1990/91, si trasferisce a Pietrasanta per apprendere la tecnica del marmo. Elena Mutinelli, nipote dello scultore Silvio Monfrini autore del monumento a Francesco Baracca a Milano, allievo di Ernesto Bazzaro, approfondisce la tradizione della scultura lombarda figurativa . Inizia la collaborazione con la Veneranda Fabbrica Del Duomo nel 1994 di Milano che la vede coinvolta nella riproduzione di opere in marmo originali con opere in marmo in copia lavorate presso il proprio studio. La sua scultura è incarnazione della presenza umana a confronto con la propria natura predatoria, come lo è la vita. Le su opere sono espressione dell’ avventurarsi nelle potenzialità dell’uomo, sculture forti, anatomie contratte alle prese con le intenzioni quotidiane dell’esistere. Elena scava, entra nelle membra, ne afferra la vitalità dell’anatomia e la voglia di vivere, evidenzia la postura e l’aspetto psicologico del porsi umano. Le opere di Elena Mutinelli sono presenti in importanti collezioni sia in Italia che all’Estero.

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ELENA MUTINELLI Nodi nelle pieghe dell’anima

Nodi nelle pieghe dell’anima 2007 Le mie opere da anni incarnano la tensione del lavoro improntato sul concetto di forza, l’installazione “Nodi nelle pieghe dell’anima” ne è espressione ultima, essa è composta da tre strutture in cui sono presenti materiali differenti, marmo, terracotta, ferro forgiato e battuto, cime di canapa. L’accento è posto sul ‘gesto’ che annoto fin dalla prima scultura sotto diverse forme, non ha tempo, non appartiene né al passato né al futuro, qui e ora, è la lotta, da sempre siamo nell’arena. Scavo con la matita dentro e fuori quel muro di probabilità e varianti che i forti profili a malapena riuscirebbero a contenere- la forza, il potere, il cannibalismo. Forti profili fusi nei tratti che parlano dell’uomo- niente storia, nessuna anticipazione, per un istante presenti, il tempo di un’azione- si preparano a divenire “altro”, l’attimo vivo che pulsa, l’unica porzione di tempo che ci è data per vivere la bellezza. Mani forti alle prese con l’afferrare brutale, con le intenzioni quotidiane dell’esistere, intrise di tensione emotiva, avide di potere, pronte a confrontarsi con il traffico, la tecnica, il ritmo, il suono roboante della vita. Sono partita “In punta di piedi”, frammenti anatomici, piedi avvolti nel bianco silenzio in ascolto, estraniati da ciò che accade sotto ai nostri occhi nella quotidianità, destinata a divenire storia crudele nel perpetuarsi dei nostri falliti proponimenti. Protagonista in questa scultura, è il faticoso ricongiungimento; l’intento di ognuno è la fusione, la disperata ricerca di sé nell’altro che trascina con sé tutte le costrizioni, i nostri credo. Un silenzio grande da colmare, antico come le culture. Ho proseguito decisa ad osservare i profili dell’uomo aggrappato tenacemente alle funi, con nodi grandi come tappe.Desideravo “Non mollare la presa”, il pugno tenace. Ecco, l’installazione “Nodi nelle pieghe dell’anima” è ultimata, composta da tre grandi tasselli i cui sottotitoli sono: ”Non mollare la presa”, “In punta di piedi” e “Nodi”, sospesi-appesi a funi di canapa e nodi in ferro forgiato, interagiscono nello spazio vuoto mediante la sospensione e la medesima intenzione, la trazione. In essa sono presenti differenti materiali tra cui la corda. La corda senza alcun capo e ‘coda’, è l’elemento formale e materiale più importante poiché in questo apparente rigoroso ordine è il caso come spesso accade a farla da padrone, le circostanze incombono cambiando le questioni e i percorsi. Si potrebbe dire di quel nodo, il famigerato ‘bandolo della matassa’, lo incastriamo ovunque, lo mastichiamo durante i discorsi trasformandolo in logoro intercalare conclusivo di un tutto detto e di niente. Bene per me “Nodi nelle pieghe dell’anima” sono le corde, le mani, i silenzi, i flash back,


PROTAGONISTI LAVORI SULLA FORZA 2007 - 2011 titolo dell’istallazione: Nodi nelle pieghe dell’anima 205 x 200x200 cm titoli delle singole strutture appartenenti all’installazione: Nodi, 2007 marmo statuario, nodi in ferro forgiato e telaio in ferro, 205x 50x50 cm In punta di piedi, 2006 terracotta patinata, ferro e fune, 200x40x40 cm Non mollare la presa, 2006 terracotta, ferro e fune, 200x43x40 cm

i nostri piedi numero 38, siamo noi nelle piazze e nei mercati senza i nostri bigliettini da visita, in mezzo a un’infinità di circostanze e situazioni che nessun nodo potrebbe trattenere o cambiare, l’importante che ci tenga vivi e vigili in questo caos. Il tema del progetto è l’uomo a confronto con la propria natura predatoria come lo è a volte la vita. Della medesima natura è la comunicazione virtuale che mina le relazioni umane rendendole sempre più sofferte e labili mediante una sottile forza mascherata, ci si incontra e ci si conosce via mail, via chat, senza un volto e una voce, senza neanche una maschera da ricordare o un tic strano, il movimento tipico di qualcuno che di sfuggita ci ha lasciato il suo ricordo, cancello un sms o la posta elettronica e tutto è finito per sempre, L’uomo c’è, la sua impronta esiste ancora, anche in mezzo al frastuono e al rumore di questo ‘oggi’ che a volte ci mette panico e anche se il potere della globalizzazione lo volesse non credo che possa cambiarne profondamente i tratti e il percorso. Non sarà possibile perdere la propria identità anche se è un termine ormai logoro. In questo ‘barocco virtuale’ di linguaggi che fortunatamente sta dimenticando i termini forzatamente canonici di astrazione o figurazione, mi piace pensare che sia possibile coniugare la tradizione con la contemporaneità senza cadere nel virtuosismo di una classicità fine a se stessa. L’obbiettivo, anzi è quello attrarre lo sguardo al semplice ‘momento’, la forza del pensiero o dell’intuizione che precede l’azione e che ci rende uomini autentici , moderni e a volte crudeli. La scultura può divenire espressione di estrema e semplice modernità senza tanto meno essere forzatamente provocatoria. Animali predatori, la legge del più forte, le regole del branco L’arte per me è un’esperienza per incontrare la vita e la conoscenza. Analogamente nutro la medesima attenzione e profonda

ammirazione nei confronti del mondo animale che ho sempre tenuta nascosta, come una presenza intima della mia esperienza di vita da cui continuo ad imparare e non riesco a separarmi. E’ in questo periodo 2011 che decido di presentare al pubblico per la prima volta in una mostra collettiva i miei studi sul mondo animale dei predatori, osservo e ripeto cercando di sentirlo allo stomaco quell’istinto animale che insegna a non prevaricare ma adduce alla lotta alla conservazione e sopravvivenza. La selezione naturale ha le sue regole, l’aggressività allora diventa un dono come tutela e non autodistruzione, liberarla è necessario ma per vivere non per morire. Elena Mutinelli

titolo: Tigre, 2011 matita su carta, 100x70 cm Tigre, 2011 terracotta, 12x15x35 cm

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INTERVISTA

di Lorena Zanusso

Lorenzo Lotto: “Polittico di San Domenico”

Illuminazione sala della mostra di Lorenzo Lotto

Lorenzo Lotto: “San Nicola”

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GIOVANNI VILLA

Lorenzo Lotto e il Veneto che avevamo scordato Lotto 1998: Bergamo, New York, Parigi. Lotto 2011: Scuderie del Quirinale. Cos’è cambiato? Quale motivazione ha fatto emergere la volontà di realizzare questa nuova esposizione? Dal 1998 non è cambiato nulla. Nessuno avrebbe mai pensato di rifare una mostra su Lotto a soli tredici anni di distanza da una tappa che aveva detto tutto quello che c’era da dire sull’artista. Il motivo principale che ci ha spinti a valutare una nuova esposizione è stata di fatto una serie di sopralluoghi, in molti casi abbastanza casuali, effettuati nel 2005, durante i quali ci siamo resi conto che diverse opere di Lotto versavano in uno stato conservativo drammatico. Il Polittico di San Domenico a Recanati, per esempio, risultava completamente divorato dai tarli, con più di quattrocento fori sulla superficie pittorica. Il Polittico di Ponteranica si presentava completamente sollevato; molte delle grandi pale d’altare sopravvivevano in uno stato di assoluta incuria. Il problema a quel punto è stato trovare il modo di intervenire, cioè di fare tutela attiva. In un momento in cui le Sovrintendenze non hanno disponibilità finanziaria, l’unica soluzione è stata la creazione di un evento, che ha permesso di avvicinare alcuni sponsor privati, consapevoli del conseguente ritorno d’immagine. Si è trattato di un grande intervento di tutela, che ha visto un investimento di quasi 850.000 euro, grazie al contributo di Banca Nazionale del Lavoro, Enel, Lottomatica e Fondazione Credito Bergamasco. Suppongo che lei abbia avuto un ruolo attivo per quanto concerne le analisi scientifiche, soprattutto di tipo non invasivo, svolte sulle opere in mostra Dopo la considerazione della situazione di emergenza nel 2005, abbiamo provveduto nei due anni successivi a sottoporre ad analisi tutte le opere dell’artista presenti in Italia nelle regioni in cui visse, Veneto, Lombardia e Marche. Sono stati individuati una ventina di casi sui quali urgeva un intervento, eseguito poi da restauratori locali, dall’Istituto Centrale per il Restauro e dall’Opificio delle Pietre Dure, sotto la guida delle diverse Sovrintendenze. Di conseguenza è nata l’idea di una grande mostra, che rappresentasse la punta dell’iceberg di un ben più esteso progetto territoriale. Abbiamo maturato un accordo con Targetti per la messa a punto di un tipo di illuminazione adatta alle opere, che le accompagnerà anche quando torneranno nelle loro sedi espositive originali, rendendo stabile così uno degli interventi di tutela attiva. È stata infatti utilizzata una tecnologia LED, che non emette frequenze di raggi ultravioletti, né di infrarosso, non produce calore, mentre ha una durata di vita pari a circa 80.000 ore con un consumo energetico molto basso. Dopo la chiusura della mostra, partirà un progetto che vedrà un’operazione ad ampio raggio di avvicinamento alle opere di Lotto per gli alunni delle scuole elementari e medie, attraverso un’operazione di grammatica visiva. Inoltre saranno distribuiti una serie di book turistici realizzati regione per regione e la pubblicazione di tre volumi (Lotto in Veneto, Lotto in Lombardia e Lotto nelle Marche) che daranno conto dei restauri e delle analisi scientifiche svolti opera per opera. In un momento storico e sociale come quello attuale italiano, credo che le mostre debbano soprattutto porsi come momenti di tutela attiva appunto, fattore che è mancato totalmente nelle esposizioni del 1998 e che è invece il risultato più importante di quella in corso. Come sarà possibile seguire le iniziative del progetto? Lo si può fare già tuttora visitando il sito www.lorenzolotto.info, dove si comprende bene come si vada veramente al di là della grande mostra, che ne costituisce un frammento, e come esso sia inteso a valorizzare il percorso artistico di Lotto e dei territori che ne conservano le testimonianze. Tornando alle analisi non invasive, sono emersi in sede operativa nuovi elementi che hanno contribuito a modificare la percezione dell’artista o che hanno aperto nuovi problemi sulla sua figura? È certamente emerso un artista molto attento alla sperimentazione dal punto di vista pittorico. Si è scoperto infatti come amasse utilizzare pigmenti particolari, usati generalmente dai vetrai, per ottenere degli effetti di saturazione molto forti, come nei verdi, gli aranci e i blu. Accanto a ciò si è evidenziata tutta la sua pratica disegnativa, che partiva da uno studio attento delle opere dal vero, riportate poi su cartone, che serviva a trasferirle sul supporto dell’opera finale, secondo dunque la tradizione di bottega veneziana. Ma è stato il colore la vera sorpresa della mostra dal punto di vista visivo, questa tavolozza così ricca di colori acidi e intensi, che nemmeno gli studiosi sospettavano tali. Dal punto di vista storico artistico, la novità è che si è tentato di ripulire l’immagine dell’artista da una certa acredine degli studi iconologici pubblicati nei decenni scorsi.


CURATORE DELLA MOSTRA “LORENZO LOTTO”

Lorenzo Lotto: “Giuditta con la testa di Oloferne”

MOSTRE Lorenzo Lotto: “Giuditta con la testa di Oloferne”

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INTERVISTA

a Giovanni Villa curatore della mostra

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LORENZO LOTTO

e il Veneto che avevamo scordato Riguardo quali aspetti in particolare? Lotto è stato a lungo letto come un personaggio eretico e vicino al luteranesimo, sulla base di un’amicizia con una coppia di luterani e di un ritratto di Martin Lutero e della moglie eseguito per il nipote. In realtà si tratta di tracce piuttosto labili per poter sostenere tale ipotesi, tanto più che se si va a considerare la sua carriera, si vede come egli sia rimasto per tutta la vita legato all’ordine dei Domenicani, a partire dalla prima commissione, la Pala di San Domenico, voluta proprio dall’ordine, così come diverse altre opere fino alla Pala di Cingoli, una delle ultime eseguite. La sua è una religiosità molto popolare, legata alla pratica devozionale quotidiana e l’essere stato tacciato di eresia deriva da una cattiva interpretazione di questa sua prassi e di questo tipo di pittura. La mostra su Lotto fa parte anche di un altro percorso di riscoperta più ampio. Vuole parlarcene? Sì, vi è in effetti un iter partito con la mostra su Antonello da Messina, un grande isolato e in qualche modo l’iniziatore del ritratto in senso moderno, per passare poi a quella su Giovanni Bellini, l’artista di svolta, che apre alla modernità nella riscoperta della natura, del paesaggio e dell’atmosfera, dove introduce le sue figure di santi. Lotto rappresenta una delle grandi linee alternative a Tiziano e Raffaello. Come Giorgione parte da Bellini, ma di questi sviluppa tutto l’approccio narrativo, naturalistico e psicologico. È un artista che raccoglie in questo senso l’eredità del ritratto di Antonello e del colore di Cima da Conegliano, trasfondendola in una pittura assolutamente autonoma, geniale e per certi versi solitaria. Ciò significa che le sperimentazioni coloristiche di Lotto sono riprese da Cima? No, in realtà si tratta di due sperimentazioni di tipo diverso. Ma da Cima, il terzo protagonista della riscoperta e la cui mostra significativamente è stata realizzata prima di quella su Lotto, questi impara a usare il colore. Bisogna ricordare che Cima da Conegliano è il primo grande colorista della scuola veneta; è il primo ad ampliarne enormemente la tavolozza tipica, utilizzando per esempio una serie molto ampia di gradazioni di rossi e di gialli. Lotto parte da lì, ma invece di utilizzare i colori smaltati, dati per velature sottili alla fiamminga, tenta di ottenere gli stessi risultati tramite un colore steso molto più a corpo e atmosferico, con un risultato che vuole essere maggiormente carico emotivamente e che quindi sottolinei al meglio i sentimenti espressi dai suoi santi. Ci sono ulteriori tappe in previsione? Sì, ci saranno, come era stato pensato per Cima, altre due esposizioni maggiormente legate ai territori: Palma il Vecchio a Bergamo e Bartolomeo Montagna a Vicenza, in modo tale da raccontare uno degli anelli fondamentali mancanti, ossia la pittura degli anni Ottanta del Quattrocento a Vicenza, con il secondo e, con il primo, un esempio di un altro artista che rappresenta un’alternativa a Tiziano, con una pittura atmosferica, molto vicina per certi aspetti a Giorgione e che inscena sacre conversazioni e ritratti di una nobiltà veneziana alta, assolutamente alternativa a Lotto. Com’è nata l’idea di questo percorso? Perché, come spesso accade, c’era bisogno di ridare la giusta dignità ad artisti relegati, almeno in parte, in secondo piano? Sostanzialmente sì. Per quanto riguarda l’area veneta, negli ultimi decenni è stata sottolineata la grandezza di Giorgione e Tiziano, Tintoretto e Veronese, che con Canaletto e Tiepolo costituiscono le icone della pittura di quest’area. Ma esiste una serie di artisti, considerati fino agli inizi del Novecento i massimi esponenti della pittura veneziana, come lo stesso Giovanni Bellini, poi dimenticati. E soprattutto si è persa così la percezione della matrice formativa del Cinquecento, Seicento e Settecento veneto. L’intento è di sottolineare attraverso questi protagonisti quelli che sono stati i punti fondamentali di tale storia pittorica. In questo senso, quanto peso ha avuto l’utilizzo delle nuove tecnologie in atto negli ultimi due decenni? È stato utile per scoprire per esempio l’importanza del disegno nella scuola veneziana, sempre considerato in sott’ordine rispetto alla scuola fiorentina. Ma soprattutto esse sono state utili come mezzi ulteriori per mettere a fuoco una storia. Ossia le indagini scientifiche hanno suggerito nuovi problemi e domande, che sono stati poi sviluppati attraverso nuove indagini storico - artistiche e archivistiche. Non è però sempre facile interfacciarsi con una tradizione sedimentata… Certo che no, ma ciò che risulta dalle analisi sono elementi concreti, che servono a scardinare la tradizione nel momento in cui abbia senso farlo. Diamo dunque appuntamento alla prossima mostra? Sarà l’esposizione che aprirà il nuovo Museo Civico di Vicenza, attualmente in restauro. Una parte di esso verrà infatti dedicata alla ricostruzione dell’attività di Bartolomeo Montagna nella chiesa vicentina di San Bartolomeo. In occasione dell’inaugurazione saranno esposte circa quaranta opere dell’artista, per supportare questo nuovo inizio con una grande mostra.


AGENDA MOSTRE

Dal 4 al 28 Giugno 2011 rassegna d’arte contemporanea “IL SOTTILE FASCINO DEL PERTURBANTE” a cura di Maria Rita Montagnani 10 artiste “ perturbanti” LAURA BIANCHI SIMONA BRAMATI LAURA CARAMELLI ELISA CORSINI MARTA DELLA CROCE GAIA FERRARIO LAURA LAPINI STEFANIA QUARTIERI PATRIZIA RAMPAZZO ROBERTA SERENARI inaugurazione 4 giugno ore 18,30 VILLA BOTTINI via Elisa 9 -LUCCA con il patrocinio del Comune di Lucca Assessorato alla Cultura

dal 21 aprile al 26 giugno “SCOLPIRE GLI EROI” La scultura al servizio della memoria” Palazzo della Ragione, Padova Mostra, a cura di Cristina Beltrami e Giovanni C. F. Villa, che propone la storia risorgimentale narrata attraverso una ottantina di bozzetti riferiti ai più importanti monumenti italiani. Unità d’Italia I monumenti proposti vanno dal Vittorio Alfieri di Antonio Canova al Duca d’Aosta di Arturo Martini, Eugenio Baroni e Publio Morbiducci, passando per Pietro Tenerani, Ettore Ximenes, Ettore Ferrari, Ercole Rosa, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Grandi, Mario Rutelli, Odoardo Tabacchi, Emilio Zocchi, Francesco Barzaghi, Pietro Bordini, Luigi Borro, Enrico Butti, Davide Calandra, Pietro Canonica, Guglielmo Michieli ed Eugenio Pellini. I soggetti ricorrenti, presenti nell’esposizione, vanno da Vittorio Emanuele II, a Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour e Giuseppe Mazzini, arrivando ai “padri spirituali” dell’Unità come Ugo Foscolo, Eleonora Pimentel e Giuseppe Verdi. La mostra viene integrata da video ed immagini che contestualizzano i bozzetti. Iniziativa promossa dall’Unità tecnica di missione per le celebrazioni del Centocinquantenario della presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Comune di Padova. Giuseppe Garibaldi - Ugo Foscolo Orario: dal martedì alla domenica dalle 9:00 alle 19:00; lunedì non festivi chiuso. Palazzo della Ragione, ingresso da piazza delle Erbe - Padova Palazzo della Ragione telefono 049 8205006

VALERIO BUSON

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MOSTRE

di Anna Maria Ronchin

LIV BIENNALE DI VENEZIA “ILLUMInazioni”

Sabato 4 giugno apre al pubblico, fino al 27 novembre 2011 la Biennale di Venezia, già presentata ufficialmente a Roma l’11 marzo scorso, poi nelle capitali europee e, infine, a New York il 25 marzo. La mostra è intitolata ILLUMInazioni e quest’anno è allestita al Padiglione Centrale oltre che occupare gli spazi consolidati dell’Arsenale e ai Giardini, un lungo percorso espositivo con 82 artisti, provenienti da tutto il mondo, 88 le Partecipazioni nazionali, 37 gli eventi collaterali La scelta della direzione del Settore Arti Visive 2011 da parte della Fondazione La Biennale di Venezia è caduta su Bice Curiger, curatrice delle mostre alla Kunsthaus di Zurigo ed attiva nel campo editoriale; infatti, nel 1984 ha co-fondato la prestigiosa rivista d’arte “Parkett”, di cui è capo redattrice e dal 2004 è direttrice editoriale della rivista “Tate etc” della Tate Gallery di Londra. Due i progetti di punta: Sessions e Meetings on Art, dedicato alla ricerca e alla formazione, e l’esposizione nel Padiglione Centrale ai Giardini di tre grandi tele del Tintoretto, scelte dalla Direttrice del Settore Arti Visive “per la loro luce estatica, quasi febbrile, e per il loro approccio temerario alla composizione che capovolge l’ordine classico e definito del Rinascimento.” Si tratta del Trafugamento del corpo di San Marco e la Creazione degli Animali, entrambe provenienti dalle Gallerie dell’Accademia, e dell’Ultima Cena , dipinta per la Basilica di San Giorgio Maggiore. L’artista americana Sturtevant e l’artista austriaco Franz West sono stati insigniti del Leone d’oro alla carriera della 54. Esposizione Internazionale d’Arte - la decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta della Direttrice Bice Curiger, con la seguente motivazione: “per l’unicità e la particolare attualità del loro contributo all’arte contemporanea, e per aver sviluppato un’opera ricca e piena di forza, che invita a vedere la produzione artistica in connessione ad altri ambiti intellettuali”. La premiazione è contemporanea all’apertura al pubblico, superando la tradizionale esclusiva per i soli partecipanti al vernissage. Vittorio Sgarbi è curatore del Padiglione Italia nella Esposizione Internazionale d’Arte veneziana del 2011. Sin dalla nomina del precedente ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, il critico d’arte ferrarese ha sollevato polemiche su gestione e metodi; l’ambizioso obiettivo di trasformare l’Arsenale in un contenitore dell’arte italiana, pulsante nel pianeta, ha sollevato consensi e dubbi negli Amministratori regionali coinvolti. Il risultato è un percorso artistico di 200 artisti viventi ed operanti dal 2001 ad oggi, selezionati da intellettuali, dei quali non si può negare un’ampia trasversalità da Mogol a Ernesto Galli Della Loggia, da Franco Battiato a Tullio De Mauro, da Oliviero Toscani a Vladimir Luxuria, da Giorgio Forattini a Rosetta Loy. personalità della cultura “il cui credito è riconosciuto per qualunque riflessione essi facciano sul nostro tempo” ad indicare “il pittore, il

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fotografo, il ceramista, il designer, il videoartista che egli ritenga più interessante”.

All’insegna del tema L’arte non e’ Cosa Nostra il critico d’arte più famoso in Italia ha sottolineato di voler “distruggere il mercato, voglio farlo deflagrare”, la scelta del titolo spiega anche l’intenzione di portare da Salemi, cittadina in provincia di Trapani della quale è sindaco, in Laguna il Museo della Mafia, nello spazio riaperto per l’occasione, alle Tese dei Soppalchi. Se da un lato il Padiglione Italia, con l’apporto delle Regioni, espone circa 2000 artisti in corrispondenza all’epopea del 150esimo anniversario dell’Unita’ d’Italia, dall’altro sarà’ presente anche all’estero, presso ciascuno degli 89 istituti italiani di cultura disseminati nei 5 continenti, dove saranno allestite mostre di artisti italiani o di origine italiana residenti o attivi in quei paesi. Le esposizioni si potranno monitorare da 100 televisori collegati con gli istituti, attraverso le istallazioni multimediali, complessivamente 219 sono gli artisti che partecipano dall’estero al Padiglione di Venezia, sempre più votata al dialogo interculturale. L’ambizioso progetto è finanziato dal Ministero per i Beni Ambientali e Archeologici e dal Ministero degli Esteri, un milione di euro per coprire varie voci, dall’assicurazione delle opere, alla pubblicità, e comprende naturalmente il compenso del curatore. Date le premesse di una selezione così estesa e capillare non sono mancate le polemiche in corso d’opera, comunque la sua realizzazione finale offre visibilità a quegli artisti italiani che, operanti in Italia e all’estero, pur avendo qualcosa da dire, finora sono rimasti in ombra. Sgarbi ha preferito il - segnalatore- al curatore, quale testimone del tempo , per uscire dal ghetto dei luoghi deputati all’Arte Contemporanea, per dare spazio a settori considerati marginali nelle recenti edizioni delle Biennali d’Arte, la ceramica, il fumetto, il designer Il – Vittorio della Biennale- garantisce la pluralità delle presenze, la varietà dei generi e nega sin dal suo nascere il privilegio dell’accesso riservato ai pochi noti, che rimangono strategicamente occulti, fino al momento della vernice di prestigiose esposizioni internazionali. Il Padiglione Italia è tornato ad essere rappresentativo della creatività italiana e Sgarbi promette la sorpresa anche di un’opera di Piero della Francesca “completamente sconosciuta fino ad oggi”. Anna Maria Ronchin


FOTOGRAFIA: Appunti (3)

Renato Freddolini da “Paese Intimo”.

Il paesaggio è la casa dell’uomo. In questa grande casa l’uomo abita, lavora, si sposta, viaggia, trascorre il suo tempo libero. Eugenio Turri, geografo, ci ricorda che “il paesaggio non è solamente un insieme di oggetti visibili (le colline, i campi, le case, le strade, gli alberi e così via). E’fatto anche di memorie legate a luoghi precisi che si sovrappongono alle cose concrete: le memorie vi aleggiano sopra, inconsistenti e leggere come sono sempre. Il paesaggio dell’uomo è lo specchio dei suoi ricordi”. La costruzione della percezione dello spazio e, dunque, del paesaggio, avviene a partire dalla nostra prima infanzia ed è il frutto delle esperienze personali che via via hanno scandito il nostro tempo e ci accompagneranno, indelebili, lungo tutto il corso della nostra vita. L’idea di paesaggio si è dunque formata in noi con la lentezza che sempre accompagna i meccanismi del nostro apprendimento e questa lentezza deve caratterizzare anche i nostri scatti: lentezza che è il tempo della nostra riflessione. Percorrere gli spazi (magari a piedi) ci porta inevitabilmente ad immedesimarci con essi, a comprenderli, a capirne il senso, ad apprezzarne la bellezza, a scoprire prospettive sempre nuove e diverse. “Ogni paesaggio esiste solo per lo sguardo che lo scopre…... Perché vi sia un paesaggio, occorre non soltanto che vi sia uno sguardo, ma una percezione cosciente, un giudizio e

Renato Freddolini “ Marina”

L’IMMAGINE

di Renato Freddolini fred.renato@inwind.it

Renato Freddolini da “Paese Intimo”.

infine una descrizione: un paesaggio è lo spazio descritto da un uomo ad altri uomini” ( Marc Augè ). La fotografia rappresenta un modo di guardare il mondo, di valutarne l’ordine, la bellezza, la drammaticità: una pausa contemplativa ed un momento di conoscenza attraverso il quale si realizza il nostro rapporto con il mondo. Quando tale rapporto si esplica “attraverso il paesaggio inteso come proiezione di un territorio, possiamo assimilare il paesaggio stesso ad un teatro, del quale il territorio costituisce il palcoscenico in cui si svolgono le azioni umane. Il territorio ha dunque una sua vita oggettiva, indifferente al nostro sguardo, ma assume per noi un significato nuovo e diventa paesaggio (e teatro) nel momento in cui ci soffermiamo a guardarlo ed a fotografarlo riportandolo nel grembo della cultura, delle sue conoscenze, delle sue rappresentazioni” (E. Turri ). Il paesaggio è anche uno stato d’animo, quello del silenzio dentro di sé, perché il silenzio crea accoglienza, predispone all’ascolto, permette di “vedere” fotograficamente dopo aver guardato. Solo così la fotografia di paesaggio non sarà soltanto un abile esercizio tecnico ispirato alla sola bellezza ma una forma espressiva che ci rimanda alle forme letterarie della narrativa e della poesia.

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MOSTRE

di Marina Zatta

TRICOLORE! TRI-COLORE? T-RI-COLORE? TRI-COL-ORE?

Mostra di fotografia inserita nel Festival della fotografia europea di Reggio Emilia 2.

Dal 21 maggio al 3 giugno 2011 si svolge presso la galleria Metamorfosi di Reggio Emilia la mostra dedicata al Tricolore progettata e curata da Marina Zatta per l’Ass. Cult. Soqquadro. Soqquadro è un’associazione culturale romana nata nel 2000 e da allora ad oggi, sotto la direzione artistica di Marina Zatta, ha realizzato circa 150 mostre d’arte in spazi pubblici e privati. La collaborazione con la galleria Metamorfosi di Reggio Emilia dura da un anno ed ha già portato all’esposizione di diverse mostre curate da Soqquadro nello spazio reggiano. L’esposizione è inserita nel circuito Off del Festival della Fotografia che si svolge a Reggio Emilia. Il Tema dato quest’anno dal Comune di Reggio Emilia è “VERDE, BIANCO E ROSSO, una fotografia dell’Italia” con evidenti riferimenti all’Unità d’Italia. Pur ritenendo L’Italia e la sua rappresentazione unitaria cose importanti e degne del più assoluto rispetto, riteniamo però altresì che, nel momento attuale, il sentimento nazionale non sia propriamente e del tutto patriottico; il senso dell’Italia Unita e del suo valore storico e culturale viene spesso messo in discussione, forse perché benché l’Italia sia stata fatta ormai da 150 anni, gli italiani debbono ancora in parte essere fatti. Per questo motivo abbiamo ritenuto necessario, in una mostra di fotografia che ha scelto di essere una collettiva per poter illustrare diversi stili e concetti di narrazione, lasciare liberi gli artisti di esprimere il concetto dato dal comune di Reggio Emilia come meglio credevano. Per far ciò abbiamo scelto un titolo che, giocando con ironica lievità sulla parola TRICOLORE, lascia intendere che gli artisti partecipanti hanno avuto la possibilità di declinare il tema sia optando per una scelta narrativa rigorosa, sia avendo la possibilità di raccontare una visione dell’Italia vista con occhi disincantati. Il confronto tra queste due visioni genera un corto circuito che spinge lo spettatore alla riflessione sul senso profondo del nostro essere italiani nel mondo attuale. In mostra troviamo le opere più di dieci fotografi che hanno espresso il concetto con narrazioni molto diverse tra loro; 1. Maria Elena Giannobile ha elaborato una serie di scatti in cui due donne che rappresentano la voglia unitaria dell’Italia, si cercano e si trovano in un gioco di forte espressione sensuale. 2. Michele Franceschini propone un’immagine in cui la bandiera italiana è vista attraverso il cadere di una goccia d’acqua che rende la visione del tricolore fluida e impalpabile. 3. Sandra Vandelli ha realizzato diversi scatti in cui le mani sono protagoniste di un intrecciarsi, stringersi, legarsi e perfino concatenarsi tra loro. 4. Elisa Zini ironizza su una Lady Italia che oscilla tra una prostituta ed una casalinga in un ambientazione che potrebbe essere la camera da letto di tutte le Nonne d’Italia.

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5. Anche Andrea Angeletti usa l’ironia e realizza uno scatto in cui un guanto rosso diviene una mano che avviluppa con affetto o forse con senso di possesso una “sensuale” melanzana. 6. Simona Vanetti ha invece realizzato uno scatto in cui emerge un chiaro senso di leggiadra libertà che forse è la condizione in cui l’artista auspica viva l’Italia nei prossimi anni. 7. Azzurra Piccardi ha elaborato una serie di scatti in cui l’Italia è vista come una donna prona, circondata da mass media su cui lei brancola bendata; l’artista si chiede se l’Italia è davvero un paese libero e democratico o se invece non è solo uno spazio dominato dall’economia. Dal 21 maggio al 3 giugno 2011 Galleria Metamorfosi Arte Piazza Antonio Fontanesi 5/A Reggio Emilia www.artemetamorfosi.it Info: 333.7330045 – soqquadro@interfree.it

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1 4 . C R I T I C O M A R A C A M PA N E R

MOSTRE di Marina Zatta

OGNI PENSIERO VOLA

Le mostruosità umane a Palazzo Orsini di Bomarzo

Dal 7 al 20 maggio presso le sale del palazzo Orsini di Bomarzo è esposta la mostra Ogni Pensiero Vola organizzata dall’Ass. Cult. Soqquadro e dalla galleria Vista con la Direzione Artistica di Paolo Berti ed a cura di Marina Zatta. Bomarzo è una delle splendide cittadine medievali che fanno dell’Italia il paese artisticamente più bello del mondo. Dominata dal palazzo signorile degli Orsini Bomarzo ha, a differenza di mille altri paesi come lei pieni di storia, di cultura e di fascino, qualcosa in più; un meraviglioso parco, il Sacro Bosco, pieno di statue di grande fattura rappresentanti esseri mitologici e “mostri” di varia natura. Sirene, Draghi, Case pendenti, Sfingi, Giganti, Tartarughe giganti, queste e mille altre meraviglie fantastiche popolano il parco di Bomarzo. Tra esse la più rappresentativa è denominata la Bocca dell’Inferno, un grande antro in pietra rappresentante una mostruosa bocca, dove i visitatori entrano e trovano un tavolo ed un sedile, sempre in pietra, da utilizzare per le loro riflessioni. Sulla Bocca sono incise le parole “Ogni Pensiero Vola” che stimolano la necessità di riflettere sulla Vita e la Morte, sul senso della vacuità della propria esistenza, persino su ciò che riteniamo più prezioso nel cammino degli uomini, la nostra capacità di Pensare. Il Pensiero è sempre stato ciò che gli Uomini hanno ritenuto li differenziasse dagli Animali, ma l’ambiguità del messaggio sulla Bocca dell’Inferno ci porta a riflettere su Noi e sul Mondo che ci circonda e che abitiamo. La curatrice della mostra, Marina

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Zatta, narra così la nascita del progetto nella sua mente: “Quando ho visitato il Sacro Bosco, l’atmosfera del luogo, il suo equilibrio perfetto tra la Natura e la Creazione artistica e concettuale dell’Uomo, mi hanno incantato, nel senso profondo di far riemergere sensazioni legate a qualcosa di magico e di ancestrale che vive in me. E’ attraverso questo cammino di sensazioni primordiali, che sono giunta dinanzi alla Bocca dell’Inferno e ho letto le parole Ogni Pensiero Vola, e mi sono trovata costretta a riflettere sul significato profondo del mio essere persona, sulla mia relazione con gli altri e con il mondo che mi circonda. E poiché ero in un parco popolato di “mostri” ho pensato che questa mostra doveva essere dedicata a loro, cioè a tutti noi: ai “mostruosi” esseri umani, fatti di quella bruttura che ci porta a uccidere il fratello, Caini contro Abeli dall’alba dell’umanità”. Su questo tema si sono espressi 24 artisti con opere pittoriche, scultoree, fotografiche e installazioni tutte di grande impatto visivo ed emozionale. Gli artisti espositori sono: Turi Angilella, Paolo Cervino, Maurizio Farina, Giusy Geraci, Maria Elena Giannobile, Elisa Grassi, Annabel Gray Briger, Jndj, Andrea Lucchetta, Micaela Marconi, Masri, Andrea Mercedes Melocco, Cristina Messora, Miki Th. Pedro, Margherita Premuroso, Andrea Roccioletti, Angela Scappaticci, Annamaria Staccini, Leonardo Vannimartini, Silvia Vaulà, Giovanni Vetrano, Rudiger Witcher, Ivano Zanetti, Elisa Zini.


ARTWORKS


RECENSIONE

di Maria Rita Montagnani

SERGIO MAZZANTI ovvero SERIO LUDERE

“L’anima non è mai vecchia per le cose, così come le cose non sono mai vecchie per l’anima.”(Plotino). Su questo assunto filosofico si fonda la proteiforme attività artistica di Sergio Mazzanti, artista poliedrico, sfaccettato, autentico portatore dell’archetipo puer. Il suo non è tanto o soltanto un pensiero creativo, bensì un “fare” creativo (poieìn) da cui scaturisce ogni forma espressiva come paradigma dell’attitudine ludica, quale approccio elettivo all’insensatezza della vita. L’inarrestabile fluidità delle opere di Mazzanti sorprende – fragili e indifesi- concetti, principi e ideologie, gli slanci repentini delle sue materie liberano la parola e la forma dal giogo della logica, per farne un gioco sibillino e ambiguo in cui le regole sono spiazzate e sovvertite dalle trasgressioni semantiche. Per Mazzanti, la vita è un gioco, dunque è una partita. In questa sua strategia, essa, mette ogni sua azione, ogni suo gesto alla nostra mercè, affinché noi, increduli e ignari giocatori ci possiamo alla meglio destreggiare in quelle intricate mosse che essa ci apparecchia quotidianamente. Al di là dei lavori come video, performances, installazioni e di tutte le svariate esperienze artistiche antecedenti, riguardanti i miti, i riti, i totem, ecc, è a mio parere la memoria, autentica, densa e carica di nostalgia, il vero filo conduttore nell’arte di Sergio Mazzanti ed inizia con una porta. La porta, infatti, non solo indica un passaggio, ma invita a valicarlo per accedere in un’altra dimensione. Essa è il medium tra l’ignoto e il conosciuto, tra la luce e la tenebra, tra l’apparenza e la sostanza. E’ un’apertura che consente di entrare e di uscire. Da qui inizia il cammino, da qui inizia la vita. Da qui inizia il

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gioco, da qui inizia il mistero. Cammino, vita, gioco, mistero, per Mazzanti sono un’unica cosa , ma solo il gioco racchiude in sé, per lui, l’enigmatico e caotico fluire della vita. Sergio gioca con la vita, ne fa un uso smodato, la divora, la fagocita, per poi lasciarsi divorare e fagocitare da essa. Ama la vita e giocando con essa la prende sul serio, con lacrime vere, con risate vere, con l’entusiasmo di un bambino eterno. E questo bambino si moltiplica all’infinito, muta, cresce, cambia d’età e in mille occasioni dà il proprio volto a cento, mille volti diversi. E’ in questa verticalizzazione del vissuto che l’artista coglie l’attimo epifanico dell’esistenza, salvandone il senso attraverso la propria identità più segreta. E poiché l’artista per nutrire il proprio puer interiore – e quindi di riflesso il mondo dell’anima- ha bisogno di evadere da ogni regola e costrizione, il gioco da lui stesso apparecchiato rappresenta per la psiche un vero e unico lavoro di drenaggio, in cui trovano spazio la libertà assoluta e il piacere della propria creatività. Viviamo in una società allucinante dove il sogno, il pensiero, la fantasia, sono stati abbandonati a un passato remoto lasciando, ahimè, il posto a un’ansia sociale che altro non fa se non correre (con una corsa impazzita e senza mèta) fin dentro agli ingranaggi di un’esistenza che rassomiglia sempre più a una gabbia, fino a diventare una micidiale trappola. Sergio Mazzanti è in un continuo “ desiderare”, è quindi in una continua trasformazione. E’ così che allora gli oggetti più insignificanti, le cose povere, i rottami, gli passano tra le mani non più come ostacoli bensì come soluzioni da trasformare in opere d’arte. E’ la sfrenata energia dell’immaginazione:


ARTWORKS

Certe volte mi prende di aggrapparmi alle nuvole e andare a vedere cosa si nasconde dietro alle sembianze delle cose terrene. Certe volte mi disconosco nel girarci intorno. Tanto poi ritorno. Neri Tancredi

l’ostacolo-oggetto- diventa desiderio dell’artista che così diviene a sua volta oggetto-effetto-, perciò idea, pensiero, artefatto (fatto ad artem), manufatto, manipolazione, ma comunque urlo esistenziale, ARTE. Ogni volta è un cammino all’indietro, un andare a ritroso nella penombra dei ricordi dove questi materiali umilissimi, talvolta rozzi, spogli (spaghi, stracci, canovacci, avanzi di un qualcosa di cui è difficile stabilire la provenienza e la funzione originaria), rappresentano gli unici e veri espedienti consolatori per trattenere eventuali lembi di storie e di vite passate… e poi sul fondo delle sue tante ossessioni ricorrenti, per Sergio c’è sempre la donna, il femminile, anzi il Maternum, questa presenza-assenza, questo ansioso portare la madre dentro di sé, questa fantasmatica, onnivora potenza – vero fantasma d’amoreche permea ogni vissuto agìto o immaginato, con il suo potere creativo-distruttivo. Ma qui l’obiettivo non è tanto di fissare la sua idea nel seno materno, in maniera umoristica e giocosa, quanto di renderla tangibile e ambiziosa fino ad estenderla a una specie di sfida con se stesso, rivelando palesemente quel processo chiamato “rimosso”. Mazzanti come ogni vero artista, avendo egli stesso la consapevolezza speciale e superiore delle cose e dei destini umani, adotta l’arte come unico e solo mezzo per oltrepassare e superare la propria condizione mortale: questo è il suo scacco matto. E’ l’arte che salva l’artista e l’artista salva la vita. Ma la vita dell’artista chi la salverà? E come, con quale ardimentoso, strabiliante artificio? Mazzanti ci sorride, alzando per un ‘attimo gli occhi dal suo gioco fatale e ci risponde : SERIO LUDERE.

Biografia Nasce a Pontedera (Pisa) il 16 settembre 1952, vive e lavora a Carrara. Ha frequentato l’istituto d’Arte Passaglia di Lucca. Dal 1974 al 1977 lavora con il pittore Antonio Papasso. A questa data risalgono le sue prime istallazioni Riti E Miti presentate a Livorno e successivamente a Vecchiano (Pisa). E’ invece del 1976 l’istallazione Totem e Tabù presentata a Marina di Pisa.Registra poi risultati di particolare attenzione presentando il suo lavoro di performance e video in diverse mostre personali e collettive. Realizza per il regista Andrea Battistini un’istallazione all’interno dello spettacolo Le Baccanti per il Teatro degli “Animosi “ di Carrara. In occasione della presentazione del libro Vecchiano un paese…Lettere ad Antonio Tabucchi (di Claudio Di Scalzo per Feltrinelli) presenta sette istallazioni che gli daranno l’entità e la consapevolezza di saper e voler percorrere una nuova strada. Nel 1995 cura la direzione artistica del locale “Il Porcospino” di Nazzano (Carrara). E’ presente in diverse edizioni della rassegna Arte Contemporanea presso L’Arthena di Pozzuolo di Lerici. E’ consigliere dell’Associazione ASART di Pietrasanta (Lucca), presentando nel 2003 un’istallazione nella rassegna Hart e nel 2004 nell’ambito di Rocc-Art, progetto per cui nel 2005 cura anche l’allestimento artistico. Ha realizzato illustrazioni e copertine per libri di diversi autori. Ha in preparazione una mostra di video istallazioni sul tema della donna. Hanno scritto di lui: Claudio Di Scalzo, Antonella Serafini, Paolo Pratali, Giovanna Riù e Barbara Micheli.

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MOSTRE

di Lorena Zanusso

LA POESIA DELLA CARTA LUIZ FERRAZ - FERNANDO MASONE

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Dall’incanto imponente della Costa Azzurra e dall’altro, elegante, di Venezia, prende vita circa un anno fa un percorso comune tra due storie molto diverse, che istantaneamente, al primo incontro, riconoscono l’una nell’altra, in silenzio, una reciproca complementarietà, una rispettiva ricchezza. E’ una questione di affinità elettive, inspiegabili, ma concrete. Così ha origine questa doppia personale di Luiz Ferraz, brasiliano di nascita, cittadino e osservatore di tutti i luoghi in cui ha vissuto, e Fernando Masone, beneventano, che da Roma a Venezia ha finito per scegliere la seconda e aprirvi un percorso che va alla ricerca di quelle origini che conoscono tutte le storie e tutta la storia, ma che sanno renderla irrimediabilmente presente e plasmabile. Lo fa attraverso un mezzo come la carta che, per quanto le nuove tecnologie tendano a sostituirla, è stata e probabilmente sarà a lungo un supporto per certi aspetti irrinunciabile. Rigorosamente fatta a mano, essa segue e sottolinea i concetti, sviluppa i punti di forza e i caratteri dei temi affrontati attraverso un’originale tecnica di stampa ad alto rilievo, appositamente studiata. Non si risolve come mezzo bidimensionale, sopra il quale viene creata l’opera, ma si spinge all’interno della terza dimensione, nel gioco delle luci e delle ombre, dei significati dello spazio, per realizzarne pienamente il senso.

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LUIZ FERRAZ

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Luiz Ferraz, da sempre colpito dalla natura, dall’ansia delle distruzioni ad essa inflitte, ma anche dalla grandezza dei fenomeni che da essa scaturiscono, a volte proprio in conseguenza di catastrofici interventi umani, trova in questo supporto un modo ulteriore per lavorare i propri soggetti, partendo già dal fondo per costruirli sul volume. Ricchi di materia pittorica, richiamano spesso una quotidianità quasi tattile di oggetti che rimandano ad azioni invasive nei confronti della natura, come l’abbandono di oggetti inquinanti o gli effetti degli incendi dolosi; oppure sublimano nella brillantezza del colore manifestazioni incontrollabili, e pertanto affascinanti, come le eruzioni vulcaniche. Fernando Masone apre ad una molteplicità di temi, giocando sulla sovrapposizione degli strati di carta o sulla sua modellazione. Dall’incanto, anche per lui, provato per la natura, astratta a elementi o scenari simbolici, all’interpretazione di oggetti e di architetture metropolitane, dall’illustrazione ad alto rilievo di temi letterari fino al design per interni. Particolarmente significativo il trittico dedicato a Giordano Bruno, esempio delle potenzialità espressive del supporto, qui utilizzato in modo contemporaneamente bidimensionale e tridimensionale, nella resa prospettica a proprio modo imponente e originale di un grande tema storico.


ARTWORKS

Albenga (SV), Palazzo Oddo 28 maggio – 10 giungo 2011

Opere di Luz Ferraz 1. 2. 3. 4.

Opere di Fernando Masone 1. 2. 3.

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DOCUMENTI di Anna Maria Ronchin

LA GRANDE ALLUVIONE vista da Giuseppe Pettinà

Molte sono le foto che documentato l’evento calamitoso dei primi di novembre 2010 un fiume d’immagini fissa la catastrofe, non preannunciata e per questo schioccante, la paura di chi l’ha subito e la solidarietà degli oltre 3.000 volontari che hanno prestato la loro opera di soccorso nella città di Vicenza e nei comuni di Cresole, Caldogno e Recoaro. Tra il repertorio fotografico che si spera appartenga al passato, quello di Giuseppe Pettinà spicca per la qualità rara in chi osserva, di cogliere l’intimo equilibrio del dramma e di decifrare gli allarmanti segnali di una catastrofe naturale. Vicenza è una città d’acqua, e in quei giorni angosciosi i suoi fiumi si sono riversati li uni sugli altri, l’Astichello ha gonfiato il Bacchiglione che ha esondato nel Retrone e trasformato le contrà dall’ Araceli verso Padova in un torrente in piena,che ha travolto auto e cose, rimestandole nel fango; questo rimane negli occhi di chi osserva sotto i due candidi ombrelli fotografati da Giuseppe Pettinà, nell’imminenza del disastro vicentino. La ferita per le 20 mila persone coinvolte si risana lentamente, rimboccandosi le mani, pagando i danni e auspicando maggiore attenzione da parte delle autorità per la storia idrografica del Veneto, indissolubilmente legata all’acqua. Questo è il contesto geografico delle meravigliose Ville Venete che avevano l’approdo naturale al fiume, come documenta l’immagine de - La Rotonda - con lo sfondo

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umido dell’ambiente endolagunare; il Bacchiglione, che scorre a pochi metri da Villa Capra, era garanzia di comunicazione con Padova e la Laguna, prima degli interventi d’ingegneria civile sul suo letto realizzati nel secolo scorso. L’inquadratura di Parco Querini immerso nella lama sottile è la trasfigurazione del suo ideatore Antonio Piovene, il punto focale è sul vialetto immerso dall’Astichello esondato, al cui termine svetta il tempietto circolare costruito nel 1822 . Commissionato dal conte Antonio Capra, che aveva la villa con pertinenza all’attuale giardino, l’intenzione dell’architetto Piovene era di arrivare all’isola in barca, dove ora c’è il ponte attraccava il rematore con gl’illustri ospiti che venivano invitati a salire fino al tempietto e fra le dodici colonne ioniche potevano contemplare le vedute sul lussureggiante giardino e sulla bella città di Vicenza. E’ come se lo scatto di Giuseppe Pettinà avesse sintetizzato in una frazione di secondo il fluire di secoli per cogliere una consuetudine nei giardini dell’età romantica.

info Giuseppe Pettinà Via Mazzanta, 18 Arcugnano (Vicenza) tel. 0444 270076 - 546606 email: giuseppe.pettina@mail.com


FOTOGRAFIA

Vicenza- alluvione 01 novembre 2010


DOCUMENTI

di Albano Mazzaretto

ANTICA PIEVE DI NANTO Restauro di S. Maria Annunziata

L’antica pieve di S. Maria Annunziata di Nanto, sconsacrata e abbandonata da molti anni, finalmente è ritornata alla comunitànantese dopo un lavoro di restauro iniziato una decina di anni fa. Diventerà un centro culturale e prima porta di accesso del versante est ai Colli Berici. LA STORIA DELLA CHIESA Di origine molto antica, il primo documento ufficiale risale al 1297, la chiesa fu in principio di proprietà del Capitolo dei Canonici del duomo di Vicenza. Poi nel 1551, una Bolla pontificia ne decretava l’unione a quella di San Marco di Venezia. Fu molto più tardi, a fine ‘800, quando sul luogo dove sorgeva la chiesa dedicata a San Paolo venne costruita la nuova parrocchiale, che di fatto ci fu l’abbandono dell’antica Pieve. Un tesoro architettonico che venne allora svuotato dei suoi gioielli più importanti come le pale degli altari, le statue, il ciborio e naturalmente gli arredi liturgici, tutti trasportati nella nuova chiesa. Una ricchezza artistica dovuta alla devozione di una madonna miracolosa collocata nell’antica pieve, un culto e una tradizione simile a quello della Madonna di Monte Berico. Fu meta di pellegrinaggi per tutta la metà del ‘500 e del ‘600. Sulla collina di Nanto, il 25 marzo di ogni anno, nella ricorrenza della festa dell’Annunciazione, arrivavano migliaia di devoti pellegrini da tutto il territorio. Non si conoscono i motivi perché questa devozione sia lentamente scomparsa senza lasciare traccia. Probabilmente fu soppiantata dalla maggiore forza di attrazione di Monte Berico. Tuttavia, di quel periodo restano le splendide testimonianze artistiche che arredano ancora ai giorni nostri la nuova parrocchiale. Un patrimonio di fede e di cultura propiziato dal fervore di un illustre sconosciuto cittadino nantese. Quel tal Giovanni Pietro dei Luciferi di Parma, rettore della chiesa di Nanto dal 1 settembre 1470, quando viene rivestito di tale compito dal capitolo dei canonici della chiesa di Vicenza che ne detenevano il beneficio, al almeno il 1509 anno in cui il suo nome appare nell’iscrizione del Ciborio. Memorie della statua della Madonna dell’annunciazione, con il suo ricco corredo di ex voto, si trovano nel registro delle visite pastorali del vescovo già a partire dal 1530. Sulle pareti restarono solo degli affreschi che il tempo e la mano dell’uomo hanno assai compromesso. Si tratta di un dipinto dedicato a Simonino da Trento datato 1479, che si trova sulla parete di destra a metà navata, e ai lati dell’altare

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maggiore una “Ultima cena” attribuita alla scuola di Gentile da Fabriano e una “Adorazione dei magi” della scuola del Pisanello. Sul lato sud, resta ancora il magnifico portale in pietra gialla di Nanto del 1492. Una memoria che rischiava di andare perduta da quando, a fine ‘800 venne realizzata la nuova chiesa parrocchiale e la pieve fu abbandonata e ridotta negli anni ’90 addirittura a magazzino di materiale edile. I LAVORI DI RESTAURO Dopo molti anni di abbandono, il primo serio intervento di manutenzione, necessario per evitare il crollo della struttura, ci fu solo una ventina di anni fa. Quindi finalmente tre anni fa l’Amministrazione comunale ha avviato il progetto per il recupero integrale della vecchia Pieve. Un progetto di 900.000 euro finanziati dalla Fondazione Cariverona, dallo Stato e dalla Regione Veneto. L’avvio dei lavori di restauro sono stati preceduti da uno scavo archeologico e un accurato studio antropologico delle tombe e i reperti rinvenuti sotto il pavimento della chiesa, eseguiti dalla SRA ricerche archeologiche di Rizzi Giovanni & Co Snc. di Bolzano. Si tratta soprattutto di13 tombe, in una di queste, riferibile alla sepoltura di un alto prelato d’epoca medievale, è stato rinvenuto tra i vari resti un calice di peltro.La ditta MaC Costruzioni di Treviso ha eseguito i lavori di consolidamento della struttura muraria, sia della chiesa che del campanile, le opere sul fondo per il drenaggio dell’acqua, le nuove fondamenta della chiesa, e il rifacimento del tetto. E’ stato rifatto inoltre il vano dei servizi in cui sarà collocato anche l’impianto termico e il piano di accesso per i disabili. La Canovacostruzioni e restauro di Malo ha curato il completamento degli interni e le opere di finitura, nonché il restauro lapideo e la pavimentazione interna, la quale è stata realizzata ex novo in pietra locale secondo il modello di piccolo reperto trovato nel corso degli scavi. La chiesa di fatto era priva di pavimento. La ditta Bertasini di Villafranca di Verona ha realizzato tutti gli impianti idraulici, elettrici, dell’illuminazione, il nuovo impianto termico, di riscaldamento e climatizzazione. La struttura è ora dotata di un moderno impianto di riscaldamento a suolo. Altri lavori sono stati affidati allo studio “Operasrl” di Lonigo. Gli affreschi invece sono stati curati dalla ditta specializzata Arlango di Vicenza.


ARTE DEL RESTAURO

Via Barsanti n.18 Malo (VI) tel. 0445/605909 Fax 0445/587521 Cell. 0335/5459588 www.impresacanova.it direzione@ilmuratore.it

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ARTWORKS

H.N acc.

RENZO

prof.

TONELLO

studio a CAVAGLIA’ (BI) 13881, in via Riva di Mezzodì 2, Cell.349 831 38 33e-mail: lorensnevada@libero.it- personal site:www.renzotonello.it Il raggiungimento di un’autocritica naturale sostituisce una rappresentazione ideografica bidimensionale tra arte e vita reale, di una nuova concezione dello spazio arte-vita, in un nuovo modo di collocazione nella società. Innanzi alla tela che deve essere colmata dal nulla ad una immensurabile “opera d’arte” linguaggio di espressione figurativa del maestro è, il prodotto della creatività e di concezione della vita stessa, scaturita da una poesia prodotta in un particolare momento della giornata e dalla supremazia straordinaria dell’artista, dai contenuti molto personali di una profonda e lunga esperienza di lavoro e di studio del maestro Renzo Tonello. Modi figurativi che si intrecciano nell’ossessione di elementi cromatici, che si fondono in continue metamorfosi del figurativo, permanendo morbosamente nel proprio personale linguaggio pittorico, del sentire, del comunicare, nell’osservare, del senso pagano nel manifestare evocazioni di profonde gioie, nell’ossessività di creare perfette opere d’arte, di un fenomeno entrato a buon diritto a far parte della storia dell’arte italiana in Europa e nel mondo. Un collezionismo di cui e protagonista del ceto emergente, costituendo ossatura fondamentale di un moderno sistema museale caratterizzato da stupendi chiaro-scuri naturali distinguendosi per l’accurata sensibilità ed il raffinato gusto di ricerca, diventando un grande professionista dell’arte contemporanea, con un innato e caparbio impegno quasi un obbligo, di dimostrare con stupefacente bravura una tecnica del tutto innovativa e molto personale, idee colte con la ragione del sapere, emozioni a volte di tale violenza che solo alcuni veri artisti si possono collocare tra i più importanti maestri dell’arte contemporanea. I gesti sono sempre ragionevolmente studiati e sofferti ma stupendamente istantanei, creando un figurativo con all’interno un tocco di surrealismo stupendamente misurato. Dalle sue opere si intravedono profondi messaggi di speranza e di gioia in un totale contagio emotivo di una razionalità ed espressività totale ed assoluta di umanità ed umiltà.

PREMI Tra i molti premi vinti ne citiamo alcuni: Primo premio AVANGUARDIE ARTISTICHE Bruxelles 2010, Ambrogino d’Oro Milano 2010, Alto riconoscimento DAVID di MICHELANGELO Lecce 2010, Gran Prix International Titre Honorifique Maestro della luminosità e del colore, Primo premio assoluto LA FAVOLA E IL SOGNO Sanremo 2010, Premio internaz. D’artePORTO SANT’ELPIDIO (Premio Speciale GIUNTA REGIONE MARCHE),Primo premio MAESTRI dell’ARTE Contemporanea CESENATICO, Premio Internaz. CAMPO DEI FIORI ROMA Premio della CRITICA,Prima BIENNALE Internaz. Città di LECCE Terzo Assoluto, MostraConcorso Europeo Città di CALDONAZZO (Trento) TERZO ASSOLUTO, Concorso Naz. di SANTHIA’ (Manifestazione Ufficiale dello Stato) Premio Elisa Serra Piana, Concorso Nazionale Liberarte Accademia il CONVIVIO sede di MATTINATA Primo Premio Assoluto, Conferimento Premio Città del Vaticano, Riconoscimento Guglielmo II° Comune di MONREALE, OPERA CUSTODITA in PERMANENZA al MUSEO SCIORTINO di MONREALE (PA). Premiato con diploma di merito (Osservatorio Parlamentare Europeo e del Consiglio d’Europa), Quadriennale la PALMA D’ORO a MANDELIEU LA NAPOULE-CANNES (France), Esposizione presso VILLA MAGDALENA-NIZZA (France), Galerie ART’ET MISS di PARIGI, Esposizione a BRUGES (Bruxelles) , Ambasciatore dell’Arte e GRAN MAESTRO del Mediterraneo BRINDISI, Premio Internaz. Città di PARGA (Grecia) già Museo della Sovrintendenza Archeologica Ellenica, Premio speciale Diritti Umani XI° edizione LECCE 2010, Premio internazionale ARTE a MALTA PRIMO PREMIO ASSOLUTO Eccellenze Visive Atlante d’Oro delle Camere di Commercio ITALO-MALTESI e degli Istituti della Cultura Italiani e Maltesi, ecc.


ANNA LEONE

L’artista Anna Leone predilige una pittura assolutamente coerente con la realtà; le sue opere sono d’impostazione figurativa, denotano sensibilità e padronanza dei mezzi. Valido cromatismo e toni caldi si alternano in vedute e paesaggi mostrando una armoniosa rappresentazione della realtà . Lo scenario è immobile, incantato, immerso in una atmosfera silenziosa, rarefatta, quasi onirica, capace di nobilitare la banalità dei soggetti trattati. La sua pittura è appassionata, di forte impatto emotivo, volendo coniare un termine lo definirei uno stile sincero, la minuzia di particolari simboleggia una affannosa ricerca nel riprodurre con assoluta precisione ciò che l’occhio vede. Io sono convinto che i disegni rappresentano i pensieri, i colori come i lineamenti seguono le emozioni e attraverso le opere dell’artista noi possiamo condividere tali emozioni.

Bruno Battistella

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RECENSIONE di Laura Leone

FRANCESCO DAL BOSCO Pittore astratto e informale

di serenità e festa. Francesco Dal Bosco è un artista di talento e di capacità innovative che ama definirsi appassionato di pietre. Il “Pietrismo” è l’ espressione più alta e spirituale per definire la sua arte che proviene da ogni luogo della natura terrestre e marina (fossili, pietre, gemme, minerali e fondali marini). La sua è una originale espressione artistica che tende a coniugare la bellezza dei minerali estratti dalla natura e la storia dell’origine terrestre. L’ attenzione è rivolta più volte all’Epoca Paleolitica dove trova le migliori ispirazioni nello studio della geologia stratigrafica. L’artista scopre la bellezza del passato storico nei semplici reperti naturali e rocciosi che vengono analizzati dai paleontologi per definire la ricostruzione del periodo di appartenenza. I ritrovamenti contengono strati di sedimentazione dentro i quali si celano le composizioni degli organismi vegetali e animali in forma scheletrica. Le rocce sono scrigni che racchiudono tesori inestimabili e tutto ciò deve essere vissuto ai nostri occhi come patrimonio storico e archeologico per ripercorrere le orme del nostro passato preistorico e riportare alla luce mondi ancora oggi sconosciuti. Francesco Dal Bosco, su queste premesse, ha dato vita a veri e propri capolavori artistici che contengono composizioni di fossili, gemme, conchiglie, marmo, vetro, legno e lamine dorate di varie intonazioni coloristiche e suggerisce sensazioni musicali per comunicare al pubblico l’atmosfera

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L’artista riproduce i fondali marini con le gemme marine per sentire i movimenti dell’acqua, per immaginare i movimenti degli esseri viventi e assaporare il profumo aspro della salsedine. I fiori diventano perle racchiuse da corolle dorate che si aprono d’incanto alla luce e gli alberi si celano nelle tessere di vetro “murrine” dalle svariate sfumature di verde che rievocano la memoria e la tecnica bizantina. Il cielo e il firmamento celeste sono frequentati da presenze stellari giallo oro in continuo movimento dove l’artista suggerisce allo spettatore la forte sensazione di spazio infinito e il sentimento “..di condividere il silenzio e l’immensità..” Dal Bosco ripropone in chiave moderna una sorta di pittura- scultura che si può accostare all’Espressionismo Astratto per la forza espressiva del colore e all’Informale per l’assenza delle forme riconoscibili. Le pietre descrivono paesaggi di cielo, mare e terra che si alternano a strati fluttuanti di colore per intuire la profondità spaziale. L’artista desidera esprimere l’emozione di una visione astratta del soggetto e la dissoluzione della forma fino a ridurla a pura geometria. La sua è una continua ricerca dell’Astratto e dell’Informale con le tecniche a cera, dai contenuti simbolici, che lo slega dalla visione della realtà pura e lo fa vivere in quella ideale, dove lascia intuire l’amore per la vita e il desiderio di far vivere al pubblico i movimenti dell’anima con messaggi immediati.


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Le soluzioni pittoriche- scultoree riescono a catturare l’ interesse del pubblico per le molteplici soluzioni originali, imprevedibili e ricche di sorprese compositive, perché ogni soggetto diventa il protagonista della scena fantastica e fa sognare ad occhi aperti, nell’immaginario collettivo, mondi inediti. Bibliografia: l’artista è nato a Monteforte d’Alpone (VR) e vive a Vicenza. Ha frequentato studi e corsi di gemmologia e di oreficeria presso la Scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza e presso l’I.G.I. di Milano. Si è distinto brillantemente nell’attività di designer, modellista e artigiano orafo per aver proposto al pubblico opere artistiche di gusto raffinato, utilizzando nei suoi quadri pietre pregevoli come turchesi, ambre, lapislazzuli, coralli, rubini, smeraldi, zaffiri e foglie dorate. Deve le sue maestranze al suo maestro gemmologo Ottaviano Violati Tescari e al Maestro d’Arte Vincenzo Ursoleo che hanno incoraggiato e potenziato le sue inclinazioni all’arte. L’artista vanta premi e riconoscimenti in Italia e all’estero. Premi e riconoscimenti: Medaglia d’argento città di Lonigo - Premio speciale Giuria”La Dotta” di Bologna- Diploma d’onore 43° rassegna Arte Moderna_ Roma - Premio internazionale di Arte_ Madrid (Spagna) -Premio Biennale Venezia_ Fenespart - Gran Master dell’Arte Italiana “Città

di Bologna”_ rassegna internazionale di pittura, grafica e pittura (1998)

Mostre recenti 2004_ Basilica Palladiana a Vicenza 2004_ Arte Contemporanea (Fiera) a Padova 2005_ Fiera Internazional Mineralientage a Munchen (Germania) 2005_ Hotel Stella Ilalia a Folgaria (TN) 2005_Spazio Outsaider a Vicenza 2005_Galleria Arcan a Vicenza 2006_Galleria d’Arte Paz Feliz a Madrid (Spagna) La prossima mostra d’Arte, Località Ragoli, è patrocinata dal Comune di Madonna di Campiglio e dall’Assessorato del Turismo dal 9 al 20 agosto 2011.

info@dalboscofrancesco.com contatto : 349.6188985

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in maglieria signer ata e capo integrale, maglieria.

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